Lina Pallotta e Bogdan Ablozhnyy alla galleria Baleno International: vita pulsante e potenziali infiniti

La galleria Baleno International, nel quartiere Pigneto di Roma, ospita nei suoi spazi il dialogo tra le fotografie di Lina Pallotta e l’installazione di Bogdan Ablozhnyy. In mostra fino al 12 maggio.

Lina Pallotta, The Nuyorican Poets Cafe’s team, 1996, photo print on baryta, courtesy galleria Baleno International

Un palco all’East Village di New York, un viavai di gente che, a turno, vuole calcarlo: è quello del Nuyorican Poets Cafè, che negli anni ‘90, tutti i mercoledì e i venerdì, ospitava le competizioni di Slam Poetry. Ritrovo di una comunità creativa sottorappresentata e perlopiù esclusa dalla narrazione mediatica, il locale vedeva tra i suoi frequentatori più assidui anche Lina Pallotta. Attratta dalla libertà creativa e dal calore umano di quell’ambiente, a partire dal 1992 la fotografa inizia a documentare le gare di poesia performata e improvvisata a ritmo di musica, dando vita alla raccolta, in parte esposta alla galleria Baleno International, Tongue in flames. “La lingua va a fuoco” per le parole che pronuncia, ma anche per la fiamma che la avvolge, come nel caso della sputafuoco che, una sera del 1994, insieme al resto del gruppo di freaks del parco divertimenti di Coney Island, si esibisce sul palco del Nuyorican, sputando rosse lingue di fuoco in direzione del pubblico. 

Lina Pallotta, Fire-eater, 1994, photo print on baryta, courtesy galleria Baleno International

Osservando gli scatti sembra di sentire il fragore dell’umanità che sporca le poesie, che esplode e trasborda tramite risate impetuose, applausi violenti, e incitamenti spassionati. È lo spettacolo della moltitudine, della diversità che ancora una volta per Pallotta è ispirazione e vangelo. Volti luccicanti accesi da un entusiasmo affamato, pose che divorano lo spazio, in un alternarsi di bianchi splendenti e di neri profondi che acuisce la plasticità dell’incastro tra corpo e ambiente. La fotografia, medium muto per definizione, si fa qui portavoce del rumore, dello scambio, della vita che fa chiasso per uscire dai recinti entro cui era stata confinata. 

Lina Pallotta, Paul Steward & saxosofonist, 1994 and Nadine Mozon, 1995, photo print on baryta, exhibition view, courtesy galleria Baleno International
Lina Pallotta, Aussie, 1993, photo print on baryta, courtesy galleria Baleno International

Nella stessa galleria Baleno, a dialogare con gli scatti di Pallotta, c’è la scultura di Bogdan Ablozhnyy, giovane artista russo: The Walk – il cui titolo fa riferimento all’omonimo racconto di Robert Walser del 1917 – è composta da tre rotoli, rispettivamente di poliestere trasparente, tessuto e pellicola riflettente, che si allungano fino a toccare la parete di fronte. L’opera dunque cambia ogni volta, a seconda dello spazio che ha a disposizione, diventando un marcatore della superficie che occupa. Una parentesi in cui tempo e spazio sono sospesi, dentro la quale l’artista invita a non entrare, per contemplarne la potenziale infinitezza rimanendo in superficie. Come una passeggiata sull’acqua ghiacciata, in cui si può vedere oltre la trasparenza, senza poterla oltrepassare. 

Ablozhnyy parla infatti di “imparare a sfiorare soltanto la superficie della materia, se si vuole che essa resti all’esatto livello del momento” (Vladimir Nabokov, Cose trasparenti, Milano 1995, capitolo XX. 3). Come quando Novecento, protagonista de La leggenda del pianista sull’oceano, non riesce a scendere dalla nave sulla quale è nato e cresciuto, per paura di toccare quell’infinità fatta di scelte, profumi, amori, strade e palazzi. Preferisce immaginare tutto questo, rimanendo in cima alla passerella della nave, esattamente come noi, nell’opera di Ablozhnyy, rimaniamo sulla riva di un potenziale, trasparente infinito.

Bogdan Ablozhnyy, The Walk, 2023, polyester, synthetic fabric, foil and aluminium, exhibition view, courtesy galleria Baleno International
Bogdan Ablozhnyy, The Walk, 2023, polyester, synthetic fabric, foil and aluminium, exhibition view, courtesy galleria Baleno International

The Walk ci offre una chiave di lettura con la quale accostarsi all’opera di Pallotta: osservare le sue fotografie da lontano, lasciare loro la possibilità di infinitezza, non perquisirle con occhio indagatore, ma semplicemente far entrare la luce dei soggetti dentro di noi, far riemergere dal buio le voci e i volti a lungo silenziati. Nadine Mozon e il suo sguardo perso nel vuoto, il volto sfocato di Steve Cannon mentre aspetta al bancone, Janice Erlbaum e i movimenti taglienti come schegge. Soprattutto The crowd, la folla accalcata sul pavimento pur di assistere, catturata da un’inquadratura obliqua, di sbieco, quasi come su una scialuppa in movimento in mezzo al mare.

Lina Pallotta, Janice Erlbau, 1995, photo print on baryta, courtesy galleria Baleno International
Lina Pallotta, Steve Cannon & Regis E Gaines, 1995, photo print on baryta, courtesy galleria Baleno International
Lina Pallotta, The crowd, 1999, photo print on baryta, courtesy galleria Baleno International

Il caos evocato da Pallotta dialoga con l’atmosfera sospesa e silenziosa dell’opera di Ablozhnyy. La materialità degli scatti di Tongue in flames si lega con il simbolismo di The Walk. Ancora, la carta fotografica che occupa piccole porzioni di muro si scontra con la tridimensionalità dei rotoli sul pavimento, che invadono gran parte della superficie della galleria.

Cosa fa più rumore? Cosa occupa più spazio? La vita potente e feroce evocata da un’immagine, o la sua materica, plastica e palpabile sospensione?

Marianna Reggiani

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